Corte di Cassazione, ordinanza n. 13848/2023
La Suprema Corte di Cassazione, nella recente ordinanza oggi in commento (n. 13848/2023), aveva ad oggetto un caso di opposizione all’esecuzione promossa dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS) avverso un atto di precetto notificatogli da un assistito sulla base di una sentenza che aveva dichiarato il diritto di quest’ultimo alla pensione di vecchiaia e condannato l’INPS al pagamento degli arretrati, oltre agli interessi legali.
Con l’opposizione, l’INPS aveva dedotto l’erronea determinazione della somma effettivamente spettante all’intimante, affermando di aver corrisposto un importo minore. L’intimante si era difeso sostenendo che la quantificazione dei ratei di pensione era stata effettuata applicando il sistema retributivo e che quindi si sarebbe determinata la differenza rispetto alla somma indicata dall’INPS.
Il Tribunale aveva rigettato l’opposizione presentata dall’INPS, e tale decisione era stata confermata dalla Corte di Appello in sede di gravame interposto dall’istituto di previdenza. L’INPS aveva quindi investito la Corte di Cassazione della questione deducendo l’erroneità della decisione dei giudici di merito, sostenendo che spettava all’intimante l’onere di provare che la somma precettata fosse quella effettivamente dovuta.
La Corte di Cassazione ha accolto il motivo del ricorso presentato dall’INPS e ha rinviato la questione alla Corte di Appello di provenienza, in diversa composizione. La Suprema Corte ha espresso la sua continuità all’orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui, in caso di contestazione, spetta al creditore procedente l’onere di fornire la prova della esattezza degli importi intimati, quando il titolo esecutivo non consente l’esatta quantificazione del credito.
In particolare, la Corte di Cassazione ha ribadito che spetta al creditore opposto fornire la prova della esattezza degli importi intimati in caso di contestazione, quando il titolo esecutivo non consente l’esatta quantificazione del credito. Nel caso specifico, essendo in presenza di una condanna generica, l’INPS avrebbe dovuto fornire la prova che la somma precettata fosse quella effettivamente dovuta ex lege, eventualmente mediante ammissione di una CTU tecnico contabile. Di conseguenza, sarebbe stato necessario accertare se il pagamento dell’INPS fosse o meno interamente satisfattivo, così riproponendosi la questione sull’effettivo ammontare del dovuto e, quindi, sulla idoneità del titolo esecutivo.
La decisione della Corte di Cassazione, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale in materia di esecuzione forzata e di opposizione all’esecuzione, rappresenta una conferma di quanto già ribadito negli ultimi anni stabilendo che l’onere probatorio è del creditore opposto in caso di contestazione della somma intimata.